Per molti è Halloween, per me è il “ponte dei morti”. Che detta così ci sta, ma se vi dicessi la frase “quando cadono i morti quest’anno?!” beh, vi verrebbe almeno da sorridere.

Qualche giorno fa parlavo con una mia collega di questa data e mi è venuta tanta nostalgia. Una festa semplice, modesta, a tratti contadina, che sa di caldo, di profumi buoni dolci e speziati: così ricordo la mia festa dei morti.
Nessuna moda americana, nessun anglicismo a casa mia: grano cotto, pupatiell (cantuccini al vincotto) e la famosa “calza dei morti”, piena di dolciumi, caramelle e – se avevi fatto il cattivo – di carbone (zuccherato).
Niente a che vedere con i festeggiamenti pomposi e roboanti di Natale, niente a che vedere con quelli frivoli e modaioli di Halloween. Una festa umile, trascorsa gran parte a fare visita a parenti defunti e vicino al camino.

Un camino che oggi mi sono trovata ad addobbare con zucche e lanterne ma che ha solo in minima parte il calore di quello di casa, vero e sempre acceso. Da quando sono al “Nord”, sono tornata a casa ogni anno in questo periodo, perché questo è l’unico momento di più ampio respiro per rivedere la mia famiglia che salutavo a settembre e avrei poi rivisto a Natale. Una via di mezzo, una boccata d’aria, sempre troppo breve quando arriva il momento dei saluti.
Quest’anno farò lo stesso, ma non sarà la stessa cosa se a mancare è il punto fermo della casa.
Di Halloween ricordo le pizze impastate in casa ed i travestimenti con mia sorella piccolina: ci divertivamo un mondo a fare vestiti e facce mostruose con quel che avevamo, senza andare a comprare maschere e travestimenti, ma sviluppando la nostra creatività. Dopo la pizza impastata da mia mamma, non poteva mancare il tradizionale grano cotto, condito con il vincotto e qualche biscottino che aveva profumato l’aria nella giornata di preparazione in forno.
L’indomani la ricorrente celebrazioni in onore di Ognissanti e il 2 novembre il momento del ricordo. Quando ero più piccola, questa giornata era l’occasione per far visita a zii, amici o parenti che non c’erano più. Siccome il mio sangue è 100% dauno, essendo i miei nonni e genitori di paesi tutti diversi (Biccari, Celle di San Vito, Castelluccio Valmaggiore e Faeto) il giro di commemorazione era lungo. Non potevano mancare, in questa occasione, i saluti anche a zii e cugini dei miei genitori. Il tutto terminava, la maggior parte delle volte, raccolti nella casa della mia nonna paterna, con i miei zii e cugini, a far due chiacchiere e mangiare insieme – ancora una volta – il grano cotto, che però era diverso da quello che fa la mia mamma (c’era in più la cioccolata ed il melograno), ma altrettanto buonissimo: sapeva di casa, di famiglia, di calore che tanto manca e che è tutto nel mio cuore.